Football e Linguaggio. “End Zone” di Don DeLillo.

img017-2Era il novembre del 1971, Americana era uscito da poco, e il New Yorker pubblica credo per la prima volta un pezzo di DeLillo nella sezione Fiction. Il pezzo in questione diventerà il capitolo centrale di uno dei suoi testi secondo me più riusciti e più sottovalutati: End Zone. Ed era un pezzo spiazzante, perché era né più né meno che una cronaca quasi verbatim di un’immaginaria partita di football. Uno di quei pezzi che leggi e la prima cosa che pensi è “What the Fuck….?” Poi, nel marzo del 1972 esce il libro, il secondo di DeLillo, e attorno a quella partita di football si scopre un’impalcatura fatta di concetti profondi e linguaggio raffinato. (DeLillo userà in altre occasioni quella struttura—un sostazionso capitolo centrale che divide due parti costituite da capitoli più o meno brevi: lo farà su White Noisecon “The Airborne Toxic Event,”  su Great Jones Street con “Superslick Mind Contracting Media Kit: The Bucky Wunderlick Story,” e l’ha fatto su Zero K con il monologo centrale di “Artis Martineau,” in verità in questo caso più un breve intermezzo).

Oggi DeLillo ha pubblicato 16 romanzi (17 se contiamo Amazons), 3 testi teatrali e una raccolta di racconti, e nella sua produzione vengono in genere isolati tre Capolavori (White NoiseUnderworld e Libra e per me in quest’ordine). Sotto di questi per me c’è una luminosa costellazione di piccoli gioiellini che ruotano attorno a un tema comune: Ratner’s Star per come il linguaggio si fa matematico, preciso e tagliente, Cosmopolis per come il linguaggio riesce a cristallizzarsi in luminose immagini concrete, e End Zone, per come il linguaggio si arricchisce di occasionali accelerazioni liriche fin quasi ad invadere i territori della poesia. Ma ognuno ha i suoi DeLilli preferiti: recentemente Rachel Kushner ha espresso una sua timida preferenza per Americana e per Underworld e Ayelet Waldman ha avuto modo di parlare del fascino esercitato da Running Dog. Jonathan Lethem adora Ratner’s Stare detesta proprio End Zone che invece era uno dei DeLilli preferiti da David Foster Wallace. Bene: è da qui che Wallace ha tratto ispirazione per il suo Eschaton (cosa che ha confessato timidamente e un po’ colpevolmente nella prima lettera che ha scritto a DeLillo, alla vigilia della pubblicazione di Infinite Jest, di cui qui), ma non solo, è sulla figura del coach Emmet Creed che Wallace ha costruito quella di Schtitt, e i dialoghi tra gli studenti del Logos College gli ha probabilmente suggerito come costruire il mondo della ETA (per tacere poi di quanto abbia saccheggiato da Great Jones Street, da Players, da Ratner’s Star, ma questa è un’altra storia).

End Zone è molto di più di un romanzo sul football, e solo apparentemente è costruito sulla similitudine guerra/sport. È un romanzo sul linguaggio, sul solipsismo e sulla ricerca di identità. Insieme a Americana e a Great Jones Street rappresenta un’ideale trilogia: tutti e tre i libri sono narrati in prima persona da tre protagonisti che cercano di fuggire dall’inessenziale che la realtà gli ha cucito addosso e raggiungere una vera identità individuale. David Bell lo fa cercando una realtà più schietta e immediata nel suo viaggio verso l’Arizona con telecamera in spalla, per riprendere momenti reali di un mondo fittizio; Bundy Wunderlick lo fa cercando di spogliarsi di tutte le sovrastrutture con cui la sua fama di rockstar ha seppellito la sua originaria spontaneità creativa; Gary Harkness lo fa autoesiliandosi in un college sperduto dove la vita è ridotta ai minimi termini, dove non ci sono distrazioni e dove può dedicarsi all’unica cosa che sembra definirlo, ossia il football.

E non è solo il protagonista, Gary Harkness, che deve e vuole fare i conti con la propria identità. C’è Bloomberg, suo compagno di stanza, che vuole dimagrire e de-ebreizzarsi, che per lui significa spogliarsi di tutta la cultura che la storia gli ha sedimentato addosso, e riconnettersi con quello che pensa essere il suo vero io; c’è Myna Corbett, la fidanzata di Harkness, ragazza cicciottella che non vuole dimagrire perché essere magra e bella per lei significherebbe doversi sottomettre alle “responsabilità della bellezza” e quindi perdere una parte della propria libera individualità. C’è Billy Mast che segue un corso sull’indicibile, in cui gli studenti urlano delle parole tedesche e il cui prerequisito è non conoscere il tedesco; c’è Taft Robinson che cerca di creare diverse gradazioni di silenzio e c’è lo spettro di Wittgenstein (proprio Taft ha un suo poster appeso in camera), quindi dei giochi linguistici, delle somiglianze di famiglia e delle regole. Per Wittgenstein in un certo senso il mondo è casualità, caos e disordine e viene regolato dalla funzione del linguaggio. Allo stesso modo Gary Harkness e i suoi compagni di squadra e di college, cercano delle regole cui attenersi, un linguaggio con cui costruire il loro mondo e che abbia per loro la stessa funzione che hanno le righe sul campo di football. È con questo spirito, per esempio, che gli studenti rimasti in sede per le vacanze invernali giocano a “Bang! You’re Dead” in cui fingono di spararsi con le dita e fingono di morire in modi teatrali, o con cui Raymond Todd scopre il potere semi-occulto delle parole studiando economia, l’astruso e inaccessibile linguaggio usato dai giocatori nelle partite e negli allenamenti: in tutti i casi si ha un linguaggio che aiuta a mettere ordine in un mondo caotico e magmatico fornendo una mappa di significati e referenti che trasformano quel labirinto primordiale in una rete stradale percorribile. E il culmine è una partita improvvisata sulla neve dagli studenti verso la fine del libro e nella quale vengono progressivamente eliminate regole e banditi capi di vestiario, fino a ottenere una versione scarna ed essenziale di un gioco agonistico: episodio che sembra smontare tutto quello che DeLillo ha costruito prima, e dirci che la coscienza esiste anche nel silenzio, il significato anche nella povertà di linguaggio e di riferimenti. Moto altalenante che ripete la simmetria di intenti di Bloomberg e Myna Corbett: uno vuole dimagrire e l’altra no, ma poi finiscono per cambiare idea e Bloomberg capisce che sono proprio la sua forma fisica e la sua storia culturale a definirlo, mentre Myna, al contrario, realizza che per capire chi è in realtà, deve assumersi le tanto spaventose “responsabilities of beauty” e scoprire se lei, come persona, è qualcosa che esiste realmente o se è solo “something that’s just been put together as a market for junk mail”—  “qualcosa che è stato costruito apposta per consumare prodotti spazzatura.”

Tutto in 242 pagine (della versione originale). Il che rende “End Zone” probabilmente il libro più denso di DeLillo. Milwaukee is spared.

Don DeLillo, End Zone(Houghton Mifflin, 1972)

Edizione italiana: End Zone (Einaudi, 2014; traduzione di Federica Aceto)

percorsi:

  • Ben Fountain, Billy Lynn Long Halftime Walk (Ecco – 2012). È il tuo giorno, Billy Lynn! (trad. it. Martina Testa, minimum fax – 2013)
  • David Foster Wallace, Infinite Jest (Little, Brown – 1996)
  • David Markson, Wittgenstein’s Mistress (Dalkey Archive – 1990). L’amante di Wittgenstein (trad. it. Sara Reggiani,  Edizioni Clichy – 2016)
  • Robert Coover, The Universal Baseball Association. J. Henry Wraugh Prop. (Signet – 1969). Il gioco di Henry (trad. it. Gino Scatasta, Fanucci – 2002)

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