Rainbow Reading #7 — Parte 4, Episodi 1-12

Pare che Pynchon nel 1970, mentre stava ancora scrivendo Gravity’s Rainbow, decise di prendere carta e penna e sfogarsi un po’ con il professore di Letteratura della Cornell, la sua vecchia università, per dirgli che più procedeva a scrivere il suo romanzo più gli sembrava che ci fosse una qualche Fonte Extrapersonale che gli stava dettando tutto e che alla fine aveva sempre più l’impressione che i lettori, poi, dovessero fare il grosso del lavoro e riassemblare e dare un senso a quello che avrebbe scritto. In realtà quella di scrivere come sotto medium profetico è un meccanismo che si innesca quando si fanno tante ricerche storiche, come è il caso di Pynchon. Nondimeno Gravity’s Rainbow è e resta un testo da leggere attivamente, uno di quelli che Barthes chiamava “testi scrivibili,” nei quali il lettore deve fare il grosso del lavoro di costruzione di significato.

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L’ultima parte è decisamente la parte più difficile di Gravity’s Rainbow. Qui alla fatica che dopo seicento pagine si fa decisamente sentire, il romanzo diventa particolarmente sconnesso e criptico. In realtà tutta la quarta parte è in qualche modo simmetrica, così come lo è a modo suo la prima parte: dodici episodi, sesto e dodicesimo mostrano una struttura simile, con sotto-episodi che ne formano un disegno quasi puntillistico. Ora, l’intero romanzo è in qualche modo simmetrico, con un lungo episodio posto al centro (il bellissimo episodio dedicato alla storia di Franz Pökler), e a ben vedere seconda e terza parte insieme formano una specie di disegno parabolico che segue Slothrop mentre si spoglia della sua identità per riguadagnarne una nuova. Volendo fare un grafico della struttura del romanzo, possiamo fare un piccolo semicerchio rivolto verso l’alto per la prima parte, far partire dall’estremità destra di questo semicerchio una parabola più grande e quindi far partire dall’appoggio destro della parabola un altro piccolo semicerchio rivolto verso l’alto che corrisponde alla quarta parte. Quel che ne viene è una struttura a, ehm, diciamo a forma di missile.

In verità la struttura di Gravity’s Rainbow è una struttura ibrida. C’è chi ha sostenuta abbia una struttura circolare che sfrutti la struttura dei mandala, circolarità peraltro comune a molti romanzi post-moderni, e c’è stato chi invece vi ha visto una struttura a parabola, o a arcobaleno, con un vero e proprio evento di decoerenza quantistica che corrisponderebbe alla Brenschluss, ossia al momento in cui un missile termina la propulsione datagli dal propellente e inizia la discesa in balia della legge di gravità. In realtà sembrerebbe quasi che Gravity’s Rainbow abbia sia una struttura circolare (inizia con un bombardamento e un’evacuazione e finisce con un altro bombardamento imminente, sebbene venti anni dopo quello iniziale), che una struttura a mandala, con altri circoli iscritti (i molti episodi circolari interni alle varie parti, come gli episodi 5, 9, 10 e 14 nella prima parte, il 14 nella terza, o l’episodio di Byron the Lightbulb nella quarta parte), che una struttura a parabola. Il che porterebbe a un incontro di un piano circolare e una parabola nella forma solida del cono: un piano di intersezione parallelo alla base di un cono genera un cerchio, e un piano di intersezione parallelo all’altezza del cono crea una parabola.

C’è di più: gli eventi narrati, al netto delle analessi, vanno da fine dicembre 1944 a metà settembre del 1945, cioè dalla Natività all’Esaltazione della Santa Croce, la commemorazione della crocifissione. Nove mesi a cavallo tra l’inizio della fine della seconda guerra mondiale e la bomba di Hiroshima. Sifficile resistere alla rentazione di vedere quei nove mesi come una gestazione di una nuova, più inquietante, silenziosa e strisciante guerra mondiale: la guerra fredda, che ha visto uno dei suoi apici più terribili negli anni ’60, anni in cui Pynchon stava scrivendo il suo romanzo, mentre tv, radio e giornali parlavano di crisi missilistiche, presidenti assassinati, guerriglie che vedevano contrapposte due superpotenze che possedevano un arsenale nucleare più che sufficiente per distruggere l’intero pianeta, razzi usati per la corsa allo spazio, equilibri di potere giocati su traffico di informazioni, campagne anticomuniste e presidenti apertamente paranoici di cospirazioni ai danni del mondo.

A ben vedere, i sei personaggi cardine del romanzo—Slothrop, Blicero, Enzian, Čičerin, Mexico, Pökler, personaggi cardine ma non necessariamente personaggi principali, molti di questi hanno uno spazio titto sommato esiguo nell’economia del libro—rappresentano un reticolo di posizioni politiche e scientifiche. Čičerin è la Russia, neo-superpotenza chiamata a controbilanciare il potere sempre più ampio e pericoloso che dopo la seconda guerra mondiale si è accentrato nelle stanze dei bottoni degli Stati Uniti (qui rappresentati in tutto il loro lato peggiore dal Maggiore Marvy, stolto razzista e guerrafondaio, già “giustiziato” da Pynchon con tutto l’odio che un autore può avere per un suo personaggio nella terza parte).

Blicero è la Germania nazista, o più in generale ciò che resta dell’ordine autoritario del vecchio mondo, l’embrione del colonialismo e ultimo esponente della cultura della guerra sedimentatasi in cultura degli armamenti nucleari. Agghiacciante quando Blicero dice apertamente che l’America è “il margine del mondo. Un messaggio per l’Europa, grande come un continente, inevitabile” e che “L’Europa ha trovato la sede del suo Regno della Morte, quella morte particolare inventata dall’Occidente. […] La sua spinta imperialista, la sua missione di propagazione della morte, la sua struttura, hanno continuato a esistere. Adesso siamo arrivati alla fase finale. La Morte americana è venuta a occupare l’Europa.” Ancora più agghiacciante quando il narratore ci avverte che Blicero potrebbe essere vivo e sano da qualche parte in America: “Se vi chiedete dove sia andato a finire, cercatelo fra gli accademici di successo, i consiglieri del Presidente, gli intellettuali-simbolo che siedono nei consigli d’amministrazione. Lo troverete quasi sicuramente lì. Bisogna cercare in alto, non in basso.” Alcuni hanno visto in Blicero la più fedele applicazione della celebre osservazione di Melville che l’uomo bianco civilizzato può essere “l’animale più feroce sulla faccia della terra.”

Enzian e gli Herero hanno molti, troppi elementi in comune con gli afroamericani che negli anni sessanta cercavano dolorosamente di uscire da una segregazione anacronisticamente ancora viva e di raggiugnere emancipazione e libertà. Roger Mexico e Franz Pökler invece spostano l’asse dalla politica alla scienza: Pökler è un uomo causa-effetto, a lui è dedicato l’episodio più lungo del libro, stategicamente posto proprio nel centro del romanzo. Non è difficile ritrovare in Pökler un segnaposto per von Braun: anch’egli un ex ingegnere missilistico, fedele a quella visione della scienza che Pynchon contrasta, che ha avuto una ‘conversione’ totalmente ipocrita, dichiarandosi poi nella sua biografia interessato solo alle potenzialità dei missili come strumenti di esplorazione dello spazio, anch’egli convinto della necessità di operare una netta separazione tra fatti e valori dacché scienziati e ingegneri non hanno diritto a visioni morali e devono restare incontaminati dalla politica. Se Pökler (e più di lui e peggio di lui, Pointsman, cieco e cicciuto fino alla fine dei suoi giorni) è la vecchia scienza ottocentesca che nasce da una cristallizzazione di certo meccanicismo newtoniano, Roger Mexico è la nuova scienza, figlia della relatività, dell’incompletezza e dell’indeterminazione, ma non per questo non meno cocciuta della scienza che l’ha preceduta: Mexico dovrà capire sulla sua pelle quanto anche la sua scienza sia poco applicabile alle ragioni umane e per quanto cerchi di applicare la statistica alla sua relazione con Jessica, non può fare a meno di notare un fondo di irrazionalità che sfugge a ogni tentativo di normalizzazione.

Slothrop intanto è sparito tra la fine della terza parte e l’inizio della quarta. La sua è stata una lenta dissoluzione attraverso otto diverse identità—Slothrop, Ian Scuffling, Rocketman, Max Schlepzig, uomo con “l’abito che cade a pennello,” ufficiale russo quando indossa la divisa di Čičerin, Plechanzuga e infine la Croce:

Slothrop diventa egli stesso una croce, un crocevia, un’intersezione vivente, dove i giudici son venuti a erigere il patibolo per un criminale comune che sarà impiccato a mezzogiorno.

Slothrop diventa una specie di Salvatore rovesciato, il preterito che viene sorvolato da Dio perché altri possano avere la grazia, la vittima della disumanità della scienza deificata dall’uomo che cerca costantemente di analizzare, dare un senso, normalizzare, controllare e manipolare gli eventi naturali. In un certo senso tutto il destino di Slothrop è raccolto in una delle più belle pagine di Gravity’s Rainbow, la storia di Byron the Lightbulb, episodio che Harold Bloom considera uno dei massimi esempi di sublime in letteratura. La storia di Byron, in breve, è la storia di una lampadina che non si spenge mai e che ha capito qual è la cospirazione mondiale montata da Febo, il cartello internazionale delle lampadine e delle reti elettriche. Nonostante Byron sia immortale e in un certo senso onniscente, è costretto “a vivere eternamente, conoscendo la verità, ma senza avere il potere di cambiare niente.” Byron è in poche pagine la storia che Pynchon in sostanza racconterà poi su Vineland sul sostanziale fallimento della controcultura degli anni Sessanta, e sulla tragica impotenza della letteratura, che se da una parte può riuscire a mettere in mostra le complesse strutture del mondo, dall’altra non può fare niente per cambiarle. Così come il finale di Gravity’s Rainbow, uno dei finali più belli che un libro possa mai avere, pur in tutto il suo inquietante pessimismo sospeso, mostra come dalla lezione della seconda guerra mondiale, siamo arrivati alla guerra fredda degli anni ‘60, silenziosa e invisibile, ma pur sempre guerra. Una parabola, un’arcobaleno, che dalla fine della seconda guerra mondiale arriva agli anni ’60, dalla fine di una “vecchia” America con la morte di Roosevelt, all’America inquietante di Nixon e delle sue politiche (a ben vedere vero bersaglio del libro, come lo era stato anche di The Crying of the Lot 49, e come l’era del Reaganomics sarà il bersaglio di Vineland e le amministrazioni Bush di Against the Day e Bleeding Edge), Nixon che viene evocato nell’esergo della quarta parte, e citato, sebbene sotto la forma parodiata di Richard M. Zhlubb,  “un uomo sulla cinquantina, sulle guance rase un’ombra perenne da cinque della sera… che ha l’abitudine di lanciare le braccia in alto, facendo un «segno della pace» al contrario,” che cerca disperatamente di distogliere l’attenzione dalla realtà che sta piombando addosso a tutti.  Gravity’s Rainbow diventa così una specie di Moby Dick con i missili al posto della balena, dove i missili rappresentano al tempo stesso lo stadio ultimo del capitalismo che sfrutta risorse per creare strumenti che sono al tempo stesso strumenti di dominio e di morte.

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