Rainbow Reading Appendice — Alcuni testi su Pynchon.

Passo qui in rassegna alcuni dei testi critici su Pynchon che ho trovato più utili. Resta lo stupore di vedere la mole di produzione critica su Thomas Pychon, ossia un autore recluso, ostico, lontano dalle esigenze di lettori medi e anche di lettori forti. Un autore accademico senz’altro, ma anche un autore popolare per nerd e geek, e non è un segreto che di Gravity’s Rainbow fu pubblicata fin da subito anche un’edizione in paperback per poterla vendere agli studenti delle facoltà STEM. Edward Mendelson già nel 1975 aveva previsto che attorno alla sua opera sarebbe fiorita una vera e propria “industria culturale,” forse la più grande accanto a quella cresciuta attorno a Joyce. Le sue previsioni si sono rivelate più che esatte, tanto che oggi si parla di Pyndustry per identificare il numero sempre crescente di studi accademici e non su Thomas Pynchon.

Lascio fuori i testi critici più generali sul post-moderno, come Dissident Postmodernists di Paul Maltbly, e Postmodern Fiction di Brian McHale, oltremodo utili per contestualizzare Thomas Pynchon all’interno della cosiddetta narrativa postmoderna, anche perché le cose che si dicono di Pynchon in quei volumi vengono abbondantemente riassunte nei testi critici espressamente dedicati a Pynchon.


George Lewis Levine, David Leverentz (eds.), Mindless Pleasures. Essays on Thomas Pynchon (Little, Brown and Co., 1976) — La prima, o per lo meno una delle prime antologie di testi critici sull’opera di Pynchon. Come quella di Mendelson, anche questa piuttosto datata ma contiene alcuni saggi ancora illuminanti, prima fra tutti “Gravity’s Enciclopedia” di Edward Mendelson. All’epoca, cioè appena tre anni dopo la pubblicazione di Gravity’s Rainbow, questo testo poteva sembrare infantilmente apologetico, per quanto i curatori avevano fretta di mettere Pynchon accanto a Joyce o Melville. Quarant’anni dopo si capisce che non era affatto un’esagerazione. I saggi contenuti spaziano da una disamina del rapporto tra paranoia e entropia, della teoria dell’informazione in Crying of a Lot 49, e per quanto riguarda Gravity’s Rainbow, la presenza del Calvinismo e il lato apocalittico del romanzo.

Mendelson, Edward, ed. Pynchon: A Collection of Critical Essays (Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1978) — Testo collettaneo un po’ datato, ma comunque un’utile introduzione ai primi libri di Pynchon — V, The Crying of the Lot 49 e Gravity’s Rainbow. Particolarmente importante il saggio “The Sacred, Was the Profane and the Crying of the Lot 49” dello stesso Mendelson curatore del libro, nel quale l’autore lega la densità linguistica della novella a motivi quasi religiosi. Sebbene sia un testo del 1978, sono trattati tutti i testi di Pynchon, a iniziare dai primi racconti. Si sente la mancanza del saggio di Mendelson stesso su Gravity’s Rainbow, “Gravity’s Enciclopedia” (reperibile in un altro volume collettaneo , Mindful Pleasures: Essays on Thomas Pynchon). Su Gravity’s Rainbow nello specifico, si possono trovare qui alcuni saggi illuminanti, come “Rocket’s Power” di Richard Poirier, “A Matter of Gravity” di F. M. Schwarzbach e la ripubblicazione delle brevi ma incisive osservazioni di famoso di Paul Fussel sull’episodio della coprofagia di Pudding. Utile sia al principiante che ai pynchoniani più navigati.

Harold Bloom (ed.), Thomas Pynchon (Chelsea House Publications, 1986) — La cosa curiosa di questo testo del famoso quanto controverso studioso e Pynchon roadie Harold Bloom è che è uscito a ridosso della pubblicazione di Slow Learned e poco prima di Vineland, cosa che lo rende l’ultimo testo critico basato su Thomas Pynchon prima della svolta pop, avvenuta proprio quattro anni dopo con Vineland. Altra cosa curiosa è che Bloom ha successivamente ampliato e ripubblicato questa antologia fino a coprire l’opera di Pynchon fino a Mason & Dixon, toccando quindi la sua prima incarnazione pop. Bloom, da par suo, contribuisce con un ottimo saggio sull’episodio di Byron the Lightbulb in Gravity’s Rainbow, definendolo niente meno che uno dei più chiari esempi di sublime nella letteratura americana e collegandolo, con qualche licenza accademica forse, allo gnosticismo (sua fissazione, sua di Bloom). Gravity’s Rainbow viene trattato anche in uno dei saggi più densi del libro, “Pynchon’s Gravity” di Edward Mendelson, che oltre a dare un sunto esaustivo quanto concentrato della trama procede in profondità catturando temi e approcci culturali all’opera. Alan Friedman e Manfred Puetz contribuiscono invece con “Gravity’s Rainbow: Science as Metaphor,” che come si intuirà analizza gli importantissimi, anzi fondamentali aspetti scientifici incastonati nell’opera. Imprescindibili se si vuole avere una visione accurata di cosa Pynchon abbia fatto con quel libro.

Inger H. Dalsgaard, Luc Herman, Brian McHale (eds.), The Cambridge Companion to Thomas Pynchon (Cambridge University Press, 2012) — È la raccolta di saggi su Pynchon forse più accessibile, l’entry-level per il neofita pynchoniano, e ha tutti i pregi e tutti i difetti degli altri titoli della collana. Il pregio principale di questa Cambridge Companion to Thomas Pynchon è che è curata da due dei maggiori studiosi di post-moderno (Brian McHale) e di Thomas Pynchon (Luc Herman), Brian McHale contestualizza molto bene il ruolo di Thomas Pynchon all’interno del paradigma della narrativa post-moderna, Luc Herman riesce bene a rendere conto del Pynchon non ancora post-moderno delle opere precedenti The Crying of the Lot 49 e Gravity’s Rainbow. C’è un importante saggio di Steven Weisenburger che contestualizza molto bene Gravity’s Rainbow, ci sono saggi che prendono in esame tutte le opere di Pynchon fino al monumentale Against the Day e a Inherent Vice (schiacciato a dire il vero insieme agli altri due testi “californiani” di Pynchon), ci sono saggi che analizzano aspetti linguistici, strutturali e gli importantissimi contenuti scientifici delle opere di Pynchon. Il difetto è che è tutto appena accennato, quasi frammentario, e disposto in modo quasi casuale. In sostanza è un’ottima introduzione e un testo di consultazione veloce per poter avere un quadro generale e moderatamente approfondito del genio di Thomas Pynchon.


Mark Richard Siegel, Creative Paranoia in Gravity’s Rainbow (National University Publications, 1978) Ecco uno dei testi davvero più illuminanti e interessanti su Gravity’s Rainbow e uno dei suoi temi più prominenti, nonché uno dei temi trasversali che sezionano in filigrana un po’ tutta l’opera di Pynchon, almeno a partire da The Crying of the Lot 49, ossia da quando Pynchon diventa compiutamente post-moderno: la paranoia. Uno dei primi studi organici su Gravity’s Rainbow, il testo di Siegel dimostra quando Mendelson avesse ragione nel pensare che quel libro avrebbe sfidato gli strumenti canonici della critica letteraria, creando l’esigenza per un rinnovamento di paradigma. Partendo da una definizione pynchoniana di paranoia come “sistema in cui tutto è connesso,” Siegel ricostruisce i fondamenti filosofici e estetici della bizzarra e paradossale narrativa di Pynchon. Il testo tratta anche gli aspetti di tecnica narrativa, in particolare l’uso che Pynchon fa di cinema e cultura pop.

Steven Weisenburger, A Gravity’s Rainbow Companion (University of Georgia Press, 1988) — Parzialmente reso meno utile dai molti strumenti disponibili online, su tutti la pagina Pynchon Wiki, in continuo aggiornamento e ricca di riferimenti per ogni parola di ogni riga di ogni pagina di ogni opera di Thomas Pynchon, A Gravity’s Companion ha però ancora alcuni punti di forza: oltre a svolgere un utile anche se prolisso servizio di documentazione, che pagina per pagina svela i tanti riferimenti culturali che costruiscono Gravity’s Rainbow, presenta alcuni brevi ma puntuali interventi interpretativi del curatore che aiutano non poco a decifrare l’opera. In particolare è uno dei pochi testi che prende in considerazione il lato “mistico” e “spirituale” del libro di Pynchon oltre che quello scientifico. Partendo da considerazioni sulla struttura dell’opera, al tempo stesso a parabola e circolare, in forma di mandala, Weisenburger trova e analizza i riferimenti all’astrologia, ai tarocchi e alle varie pratiche cabalistiche che Pynchon sapientemente incastona nel libro. È qui che viene seguita la metamorfosi di Slothrop attraverso otto diverse incarnazioni dopo la perdita di identità fino a diventare emblema del Folle, arcano maggiore dei Tarocchi, e è qui che si trovano riferimenti ai segni zodiacali predominanti in ciascuna delle quattro parti che compongono il romanzo. Se si vuole capire appieno il modo in cui Pynchon distrugge la parete che divide cultura scientifica e cultura umanista in compartimenti stagni, è necessario passare anche dal suo uso di misticismo e esoterismo come specchio delle progressive incertezze della scienza.

David Cowart, Thomas Pynchon. The Art of Illusion (Southern Illinois University Press, 1980) — L’opera di Thomas Pynchon, e in particolare Gravity’s Rainbow e Against the Day, è piena di allusioni, all’arte, alla scienza, alla politica, alla storia. In questo testo David Cowart si concentra sulle allusioni al mondo dell’arte, cioè cinema, pittura, musica e letteratura, restando volutamente lontano dalle allusioni scientifiche, che tendono a monopolizzare le analisi su Pynchon. Se da una parte questo testo ha il pregio di dissezionare l’universo artistico da cui Pynchon parte per costruire i suoi mondi narrativi, dall’altra ha il difetto di considerare quell’universo un compartimento stagno separato da quello scientifico e storico. La tesi di Cowart è che Pynchon usi pittura e cinema per dare voce al suo lato nichilista, e musica e letteratura per dare voce invece al suo lato ottimista. Peccato che tutto giri troppo intorno a pettegolezzi non chiarificati, come la voce che Pynchon avrebbe avuto un’esperienza da critico cinematografico, la sua liasons con Ann Cotton, star dei musicals, avrebbe informato gran parte di V. e anche di Gravity’s Rainbow, e la sua amicizia con Richard Fariña sarebbe alla base dell’impianto comico e fumettistico di Gravity’s Rainbow. Nonostante tutto però, il testo presenta una buona rassegna del materiale artistico che Pynchon usa nei suoi libri.

David Cowart, Thomas Pynchon and the Dark Passages of History (University of Georgia Press, 2012) — David Cowart è a tutti gli effetti il primo studioso di Pynchon a aver pubblicato due monografie sulla sua opera. Questa viene presentata come un “modesto vademecum,” un testo da consultare via via che si prova a leggere Thomas Pynchon, a patire dalla breve nota biografica posta all’inizio. Una parte analizza le opere “Califoniane,” una la “fase tedesca” di Pynchon, e una nota conclusiva (ristampata poi in forma leggermente rimaneggiata su Cambridge Companion to Thomas Pynchon), prende in esame la genealogia della scrittura di Pynchon. Se il precedente testo di Cowart su Pynchon era completamente incentrato sulle fonti artistiche, prese come compartimento stagno, questo si concentra quasi esclusivamente sui riferimenti storici nell’opera di Pynchon. In questo modo Gravity’s Rainbow, con tutte le sue allusioni alla storia culturale della Germania (Anton Webern, Max Weber, Beethoven, Fritz Lang, per dirne solo alcuni), si sorreggerebbe su un odio neanche troppo celato che Pynchon nutrirebbe per la cultura tedesca ottocentesca, così come Mason & Dixon presenterebbe un’odio per la cultura inglese sei-settecentesca. Il punto interessante è che l’opera di Thomas Pynchon si ripropone di affrancarsi dalla cultura storica ufficiale (inglese e tedesca, illuminista, romantica e poi positivista) per dare vita a una ricerca di una cultura contemporanea che sia libera e indipendente.

Una risposta a "Rainbow Reading Appendice — Alcuni testi su Pynchon."

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  1. Bellissima rassegna di lettura su Gravity’s Rainbow che si conclude con questa utilissima appendice (di cui qualcosa certamente prenderò, anche se di Bloom ho già letto alcune parti e con molto piacere!).
    Tutti gli “episodi” di lettura sono stati davvero belli e interessanti: seppur brevi hanno riassunto alcune questioni e tematiche che mi hanno sempre trovato d’accordo. Non è così semplice trovare siti o “luoghi” italiani in cui si parla di Pynchon e soprattutto di Gravity’s Rainbow! La mia “prima volta” con Pynchon è stata proprio con questo libro, per un corso di università poco tempo fa, e mi ha davvero ammaliato e rapito, la ringrazio per il suo contributo e soprattutto mi auguro di trovare altre puntate pynchoniane!
    Credo che ora inizierò L’incanto del lotto 49, che è da un po’ che sta nella lista di lettura!

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