Rainbow Reading #2 — Parte 1, Episodi 14-21.

Continuo con la mia rilettura di Gravity’s Rainbow e continuo con le mie note. Questa riguarda gli episodi 14-21 della prima parte [pp. 93-180 dell’edizione Viking, pp. 125-235 dell’edizione Rizzoli (traduzione di Giuseppe Natale)]. La prima parte è composta da 21 episodi, probabilmente corrispondenti ai 21 dei 22 arcani maggiori dei tarocchi (escluso Il Matto). C’è anche un elemento astrologico, i Pesci—ma sono questioni che non ho voluto per ora approfondire. Continuo invece con alcuni aspetti che mi sembrano fondamentali: la presenza della guerra e quella di un Narratore che rompe sempre più la quarta parete, e dà al libro una qualità virtuale, come quella della voce guida in un videogioco.

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img_1818Volendo dividere in due sezioni di pari lunghezza la prima parte di Gravity’s Rainbow si possono  notare alcune simmetrie: la prima sezione (episodi 1-13) inizia a Londra, con un sogno di Pirata Prentice e la preparazione di una bizzarra colazione a base di banane e la seconda sezione (episodi 14-21) inizia sempre a Londra, non con un sogno, ma con una serie di riprese a una donna, scena che ha un che di onirico e che utilizza la tecnica narrativa del camera-eye, mentre nella stessa stanza c’è qualcuno che sta “cucinando” dei funghetti allucinogeni. Quasi una ripartenza, potremmo dire. Inoltre, prendendo la seconda sezione si nota una certa circolarità: inizia con un riferimento alla fiaba Hansel e Gretel dei fratelli Grimm e finisce con un riferimento alla stessa fiaba. L’uso della fiaba è uno dei temi che lega Gravity’s Rainbow alla narrativa post-moderna da cui nasce: Snow White di Barthelme e molti dei racconti che Robert Coover aveva già raccolto su Pricksong and Descants, ma in parte anche il Barth di Chimera.  Qui la fiaba si unisce a molti elementi rubati al folclore teutonico e a un altro elemento post-moderno: l’uso di tecniche narrative che imitano il linguaggio cinematografico (e poi televisivo). 

Si tratta in realtà di una tecnica assolutamente moderna, già usata, a esempio, da Dos Passos su The Big Money, terza parte della trilogia USA.  Nel caso della narrativa classica, l’uso di tecniche cinematografiche servivano soprattutto come nuove tecniche di rappresentazione. Nella narrativa post-moderna invece quelle stesse tecniche rubate a cinema e televisione servono invece per costruire un nuovo livello di significato quasi a livello ontologico. Campione quasi indiscusso in questo campo è Robert Coover, che fin dal racconto “The Babysitter” ha instaurato un dialogo privilegiato con la narrativa cinematica. Pynchon usa questa strategia per farci perdere traccia della realtà. Già nel primo episodio l’evacuazione in seguito a un bombardamento e, in un contesto ben più irrealistico, l’invasione dell’Adenoide Gigante sono esempi di un uso di tecniche cinematografiche (nel secondo caso si può vedere anche una citazione di King Kong con elementi lovecraftiani) che hanno lo scopo di sfilacciare il substrato di realtà di primo livello di cui dovrebbero essere il veicolo. Allo stesso modo la sequenza iniziale del quattordicesimo episodio, dove una ragazza (che poi scopriremo essere Katje Borgesius), viene ripresa da un operatore segreto (che poi scoprireremo essere Pirata Prentice). L’episodio, che è uno dei tanti set pieces della prima parte, procede poi per una serie di analessi a catena: scopriamo che Katje Borgesius anni prima era tenuta quasi prigioniera insieme a un certo Gottfried dall’inquietante Capitan Blicero per una suo perverso gioco sado-maso nel quale i due sottomessi mettono in scena Hansel e Gretel. Un’altra analessi ci porta al passato di Blicero nella missione di colonizzazione del sud-ovest africano. Una terza analessi segue invece gli avi olandesi di Katje Borgesius che nel XVII secolo colonizzarono l’Africa, per tornare al tempo presente per mezzo di una quarta analessi che ci dice come Katie Borgesius sia fuggita da Blicero e si sia messa a disposizione degli alleati, per il progetto del quale sta facendo le riprese in oggetto. Tutti quei salti analettici rappresentano ciascuno un nuovo livello di realtà che confonde e sfuma tempo e luogo nei quali si svolge l’azione che stiamo leggendo (su questi argomenti e in generale sulle allusioni cinematografiche, musicali e letterarie in Pynchon c’è il buono per quanto datato Thomas Pynchon: The Art of Allusion di David Cowart).

Strettamente legato all’uso di tecniche riprese dal cinema, sono le continue rotture della quarta patere da parte del Narratore, che arriva addirittura a presentare un intero episodio in seconda persona singolare. Il fatto è che questa voce non si era quasi sentita per tutta la prima sezione della prima parte e anzi sembra quasi che in quei primi episodi Pynchon abbia voluto limitarsi a introdurre alcuni temi fondamentali (crisi del nesso causale, rapporto tra scienza e metafisica) e alcuni personaggi cardine (quasi a coppie di contrapposti: Slothrop/Prentice, Mexico/Pointsman), e nella seconda sezione dia maggior respiro alla parte “morale” del romanzo, seguendo più nello specifico alcuni protagonisti di questa prima parte (Katje Borgesius, Slothrop, Roger Mexico e Jessica Swanlake, Pointsman). La cosa da notare è che il Narratore, per quanto colloquiale non è mai pontificatore o sermoneggiante, è anzi un Narratore che quasi fa da Virgilio che mostra cosa accade e cosa è accaduto, ti accompagna tra fatti e eventi e ti chiede di trarre le tue conseguenze: così quando, parlando della Natività, ti metterà sotto gli occhi una scena in cui i Re Magi portano al bambino non oro, incenso e mirra, ma “tungsteno, cordite e ottano”—dei materiali largamente usati nell’industria bellica—il Narratore conclude con la domanda «quale saluto quale messaggio si potranno mai scambiare il re e il giovane sovrano? Il bambino sta sorridendo o è solo l’effetto di qualche gas? e tu quale delle due ipotesi preferisci?» Questo tipo di Narratore, se da una parte serve a marcare l’esperienza virtuale della lettura, a separare romanzo da lettore, dicendo continuamente al lettore che quello che sta facendo è appunto, leggere una finzione (grado di separazione che il post-moderno accentua), dall’altra parte assomiglia molto a una forma embrionale di guida virtuale, come quella della voce di un videogioco che guida il giocatore mentre gioca: invece di separare lettore e testo, questa voce rafforza la presenza del lettore dentro il testo. 

Ma tornando alla scena della Natività, siamo nell’episodio 16, e i protagonisti dell’episodio sono Roger Mexico e Jessica Swanlake, nella loro storia d’amore problematica che già fin da ora assume tinte tragiche, qui soprattutto perché è una storia d’amore che viene immersa in mezzo alla guerra. Già nella prima sezione, quando Pynchon ha introdotto i due amanti, presenta Roger Mexico come “figlio della guerra,” perché «la guerra è davvero la madre di Roger, la guerra ha lisciviato tutte le inclusioni della gloria e della speranza—delicate, vulnerabili, sparse—al di sotto delle rifrazioni micacee, nella lapide minerale del suo io—e la sua marea grigia ha spazzato via ogni lamento.» Ma nonostante tutto «sono innamorati. Vaffanculo la guerra.» 

La guerra è distruzione, annichilimento, minaccia di un’estinzione totale, soprattutto nella sua forma novecentesca, calda o fredda. Facciamo un passo indietro. Nell’ultimo episodio della prima sezione (episodio 13) viene citato il titolo della parte: Beyond the Zero, Oltre lo zero. È ripreso da un testo di Pavlov che Pynchon cita verbatim: 

«non solo si deve parlare di estinzione parziale o totale di un riflesso condizionato, ma ci si deve anche rendere conto questa estinzione può procedere oltre il punto in cui il riflesso è ridotto a zero. Non si può perciò valutare il grado di estinzione del riflesso condizionato solo in base alla sua ampiezza o alla sua assenza, dal momento che ci può ancora essere un’estinzione latente, asintomatica, oltre lo zero»

Un altro riferimento al titolo si trova in epigrafe, e è una frase di Wernher von Braun.

«In natura nulla si estingue: tutto si trasforma. Tutto ciò che la scienza non mi hai insegnato e continua insegnarmi mi convince sempre più che lo spirito non cessa di esistere dopo la morte.»

In entrambi i passi lo zero viene legato al concetto di estinzione: umana nel caso di von Braun, e del riflesso di uno stimolo nel caso di Pavlov. In entrambi i casi si sta studiando, in un certo senso, la casistica dell’implicazione logica, falsa solo quando a un antecedente vero segue un conseguente falso, ossia quando a uno stimolo non fa seguito un riflesso, al verificarsi di una causa non segue l’effetto che quella causa è solita comportare.  Ma la cosa da notare è quel riferimento alla morte, implicito e relativo in Pavlov (si tratta di morte di un riflesso, che può in alcuni casi ripresentarsi in forma latente), esplicito e quasi metafisico in von Braun. È anche questo riferimento alla morte che rende Gravity’s Rainbow un romanzo eminentemente post-moderno, dacché una delle caratteristiche della narrativa post-moderna è quella di costruire mondi, o oltre-mondi, nei quali si cerca se non di superare, almeno di discutere il limite ontologico dato dalla morte. Questo avviene per esempio nel mondo immaginario e solistico di Henry Waugh su The Universal Baseball Association di Robert Coover, sulla parodia dell’inferno in The Living End di Stanley Elkin, un po’ in tutta l’opera di DeLillo, fino alla storia intesa in senso sovra-umano e naturale su The Overstory di Richard Powers.  Su Gravity’s Rainbow la morte è una minaccia costante che nasce dalla stessa umanità, non il fine naturale e inevitabile di ogni essere umano, ma la minaccia di una fine globale, dell’intero genere umano promessa da una delle più tragiche invenzioni del genere umano stesso: la guerra nucleare. 

La stessa onnipresente persistenza della guerra è palpabile in tutti questi ultimi episodi della prima parte. Soprattutto nel quindicesimo, dove si racconta di come Slothrop si trovi a avere una giornata di sesso piuttosto violento con Darlene e la Mrs. Quoad: anche questo è un altro set piece in Gravity’s Rainbow, e potrebbe benissimo stare in piedi da solo come racconto a se stante. Qui un normale incontro viene trasformato in allegoria per la guerra e non solo in virtù di un lessico bellico e militaresco. L’intero incontro viene descritto come fosse una specie di addestramento militare, una specie di simulazione di guerra, con tanto di malattie e ferite che sembrano malattie e ferite di guerra e con una degustazione sui generis che culmina con un dolce «marroncino dall’aspetto sinistro, una copia esatta, su scala uno a quattro, di una granata Mills completa di leva e percussore, appartenente a una serie di caramelle patriottiche prodotte prima che ci fosse penuria di zucchero, la quale include, come nota Slothrop sbirciando nella confettiera, la cartuccia di una Webley calibro 455 fatta di un morbido caramello a strisce rosa e verdi, una bomba da sei tonnellate di gelatina blu puntinata di granelli argentati e un bazooka di liquirizia.» L’intera sequenza, dalla degustazione all’atto sessuale, viene cosparsa di guerra, termini bellici, allegorie belliche, metafore belliche, e gli stessi protagonisti sembrano sempre più soldati che si trovano in mezzo a una situazione spaventosa e incomprensibile. 

Pynchon così riesce a scrivere un romanzo di guerra senza nessuna scena esplicita di guerra. Tutti i riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale, a vecchie campagne coloniali di prima della guerra, e a tutta la strategia missilistica sono in realtà espedienti per parlare dell’epoca nella quale Thomas Pynchon stava scrivendo il libro: gli anni ’60 e primi ’70, l’inizio della guerra fredda, la corsa agli armamenti, la sempre più crescente influenza della controcultura. In questo modo un episodio chiave è quello in cui mediante una serie di analessi torniamo nella Berlino pre-Hutleriani degli anni ’30, dove Leni Pökler si appresta a lasciare il marito Franz, ingegnere missilistico, per Peter Sachsa, lo spirito che era stata evocato nella seduta a inizio romanzo. Leni è anacronisticamente femminista, ricorda molto più il femminismo maturo degli anni ’60 che quello ancora embrionale degli anni ’30, parla di consumismo e di «forme espressive del capitalismo» che saranno pienamente sviluppate solo negli anni ’60 («tutti questi romanzi, questi film, queste canzoni con cui loro ci cullano, sono solo un modo di guidarci, più o meno piacevolmente, verso il benessere assoluto… L’orgasmo onanista»), lo spirito che verrà evocato sarà quello di Rathenau, politico tedesco che ebbe un ruolo nella rinascita economica della Germania, e che fu assassinato da cellule terroristiche di destra (un politico assassinato, come Kennedy negli anni ’60). La guerra di Gravity’s Rainbow è una guerra astratta, più teorizzata che vissuta, una guerra che è più una minaccia di guerra e il cui «vero scopo … consiste soprattutto nella compravendita,» e che somiglia molto più alla Guerra Fredda che aveva raggiunto un suo punto critico proprio negli anni Sessanta che a quella che stava finendo nel 1944.

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